Alida Valli e Sebastiano Lo Monaco Giro 1995-96

Giro 1996-97

Note di Regia

Lo Monaco

Questa Sera Si Recita A Soggetto


Bisicchia

Artioli

D'Amico

Macchia

Tinterri

QUESTA SERA SI RECITA A SOGGETTO
di Luigi Pirandello

La critica

Rita Sala, Il Messagero, 2 Novembre 1996
Roberto Cossu, L' Unione Sarda, 5 Dicembre 1996
Odoardo Bertani, Avvenire, 15 luglio 1995
[...] Lo stupendo, sciolto e dinamico spettacolo è quasi un omaggio critico al teatro antico e moderno, d'autore e d'attore e di regista: se «a soggetto» comprende l'arte attorale che ci rese famosi nel mondo ed è, poi, riflessione sul concetto di testo, su parola e forma, nonché discussione sul significato e sui modi di essere regista; sulle singole qualità e gelosie, dunque, sui vari ruoli e le varie ambizioni; sulle diverse virtù e sui singoli vizi. Uno spaccato di storiche attribuzioni, è una modernissima lettura di invadenze e di trionfi, magari effimeri, dove la polemica sulla funzione del regista sostanzialmente si attenua nel finale autoattribuirsi una presenza discreta (dietro le quinte); dove non è marginale la posizione dell'autore come legittimo «possessore» della parola e dove però all'attore è riconosciuta la necessità di viverla e di soffrirla oltre gli schemi del mestiere. La commedia è dunque una discussione meditata e sofferta e, del pari, nient'affatto legata ad una pedante razionalità, perché innestata su un doloroso aneddoto di esasperata gelosia, che quindi collega ad un fatto della nativa Sicilia un'analisi di pregnanza europea. E siamo negli anni Trenta (la prima di, Questa sera si recita a soggetto avvenne, proprio a Berlino, nel 1930) quando la figura del regista, qui data e negata, era problema vivo (meno che in Italia, dove per affermarsi al regista occorsero altri vent'anni).
Spettacolo libero - tra la memoria e la provocazione - che si nutre di straordinarie invenzioni, partendo dalla disinvolta e deliziosa impostazione del celebre personaggio del Dottor Hinkfuss (così teutonico), che nel suo sbrigativo disfarsi del testo drammatico sviluppa con mordace amenità la sua dissacrante teoria e innova il metodo di recitazione, chiamando in particolare col nome proprio (perché più e meglio vivano la vicenda provinciale che risuona di libertà, agli attori chiamati a renderla scenicamente viva e vera: ed ecco suonare graditissimo al nostri orecchi i nomi di Alida Valli (la equivoca e smarrita Signora Ignazia, la Generala), di Sebastiano Lo Monaco (un regista saccente e divertentissimo), di Giustino Durano (Sampognetta), un prodigio di convinta ed epica ed astratta recitazione, coi quali magnificamente ma drammaticamente colloquiano i giovani Danilo Nigrelli (Nico Verri) e Liliana Massari (Mommina) e i bravi Claudio Mazzenga e Carlo De Mejo e Cristina Ferraioli e Stefania Calandra e i loro compagni: un gruppo affiatato e di grande valore.. E' un concerto animato e vario di trovate «a soggetto» (però rigoroso), è una prova continua di fedeltà autonoma ai suggerimenti del testo ed alle sue didascalie; è una messinscena gremita di tensioni e di toni e dominata insomma dall'interrogativo che Pirandello pone a se stesso, come fosse l'altra faccia del problema sollevato dai sei personaggi che vogliono consistere nella forma che dovrà essere alata loro dal drammaturgo: forma scenica, ossia espressione veridica e meglio aderente allo spirito della sua opera. Noi sappiamo, ora, che la mediazione registica non è tutto, non basta. E però vero che sempre più frequentemente il testo è visto come pretesto. E gli attori, non sudditi, volentieri vi pongono mano, senza sentirsi traditori, ma elevandosi a coautori.
Le ariose, fluttuanti e trasparenza scene di Aldo Terlizzi (che scandivano i momenti recitativi) hanno dato un tocco magico a questa laboriosa rappresentazione, tutta icastica, significativa, anelante in ogni momento e finalmente drammatica nel finale a due, quando si decanta anche la leggera confusione dell'inizio del Il Atto; in queste scene finali si raggiunge la tragedia di una gelosia assurda, di un delitto di violenza psicologica, nel quadro di una società volgarmente maschilista, come era poi in realtà al tempo di Pirandello.
Magda Poli, Corriere della Sera, 15 luglio 1995
[... ] «La trilogia del teatro» è quella che maggiormente indulge a una tesi intellettuale e problematica, è una lezione d'estetica e di drammaturgia, e certo non può più scandalizzare per la rottura delle convenzioni e delle finzioni del teatro realistico borghese. Affascina perché vi è l'anima intera del teatro, perché in essa Pirandello, sviscerando la dialettica fra la creazione drammaturgica e la messa in scena, mette l'accento sul rapporto fra arte e realtà: il lavoro dello scrittore termina con la parola fine in fondo al manoscritto e subito comincia, per mano degli attori, dei registi e dei fruitori, l'appropriarsi e il moltiplicarsi dell'opera d'arte. L'«unica» creazione diventa «tante» creazioni, una diversa dall'altra. In Pirandello i fantasmi nati dall'artista diventano demoni che prendono la mano al loro creatore, si scatenano, gridano e soffrono non solo per i loro drammi, ma per la loro eterna esistenza larvale di personaggi in cerca di autore, cioè in cerca di creatività: quella dei registi, degli attori, del pubblico, nella quale abbiano modo di prolungare la loro vita. E nell'intelligente elaborazione drammaturgica e nella seducente messa in scena di Giuseppe Patroni Griffi di fantasia e di energia per vivere i personaggi di Questa sera si recita a soggetto ne hanno trovata tanta. [... ]
Francesco Tei, la Nazione, 16 luglio 1995
[ ] La scena di Aldo Terlizzi (i costumi - metà anni trenta, metà moderni - sono firmati da Gabriella Pescucci) ci parla chiaramente e ci fa quasi vedere, in concreto, quella che, per Patroni Griffi, è l'essenza poetica, l'anima del dramma: quel sipario mobile, avvolgente, gonfio, prezioso, perfino palpitante come una vela, che copre e scopre, che inghiotte e che rivela e fa apparire, è come il segno visibile del fascino straordinario del teatro, della sua magia che si fa - prima di tutto - amare, e poi riesce a conquistare e a commuovere. Giusta, e forse naturale, è la scelta di ripulire - una volta per tutte - da ogni «sicilianità» la storia che si finge messa in scena dal ciarliero regista Dottor Hinkfuss: anche l'epoca diventa ambigua (lo abbiamo detto parlando dei costumi), e nel cabaret della Chanteuse si possono benissimo far riecheggiare melodie e ritmi «honky tonk» mentre i personaggi vestono abiti più o meno attuali. [...]
Franco Quadri, la Repubblica, 17 luglio 1995
[...] Trae un senso questo remake dall'implicita dedica ad Alida Valli, che risplende di ricci fulvi nella sinfonia di neri predisposta dalla costumista Gabriella Pescucci, e brilla soprattutto nella prima parte, quando risalta nella propria identità complice il dibattito interno al testo sui modi espressivi, più che per le occasioni a lei offerte dal subdolo personaggio della Generala, che amministra la sua famiglia siciliana con la leggerezza d'una maitresse di casino. E accanto a lei merita il successo personale il bravissimo Giustino Durano, nella surreale immagine conferita al marito Sampognetta tra le pieghe d'un'autoparodia d'attore.
Ma il significato di questo allestimento è nella nuova generazione d'attori che sopravviene a sostituire quella impegnata a vitalizzare il precedente allestimento di questa storia così curiosamente affine alle Tre sorelle cechoviane nel mischiare un gineceo famigliare e una guarnigione militare, con duelli annessi. Uno sciame di nuovi attori viene sempre più spesso mobilitato da registi consacrati, Vassiliev e Ronconi con le loro rispettive scuole ancora a proposito di Questa sera si recita a soggetto, in due esperimenti dove era più elaborato il lavoro sul canto - nello spettacolo di Patroni Griffi vibra invece la vivacità dei movimenti dinamici d'assieme e la ricerca di una stilizzazione visiva. Il duetto dei giovani protagonisti s'accende grazie all'intensa presenza di Danilo Nigrelli che conferisce una luce disperata, ma anche la scintilla d'un piacere sadico, al parossismo folle della sua gelosia di marito carceriere, mentre la Mommina di Liliana Massari trova la sua trasfigurazione dopo la battaglia dei gridi, nella tirata finale, condotta con la purezza d'un canto interiore.
Carlo Maria Pensa, Famiglia Cristiana, 2 agosto 1995
[...] Nello spettacolo diretto da Giuseppe Patroni Griffi si recita veramente a soggetto. Anche troppo, in determinati momenti. E non è intendiamoci - la prima volta: della commedia si ricordano, per la verità, edizioni che devono aver fatto sussultare Pirandello nella pace dell'aldilà. Incauto lui, d'altronde, nel dichiarare per bocca di Hinkfuss - che l'opera dell'autore; dopo di che, sono soltanto gli attori o - peggio - il regista, cioè il signor direttore come si diceva a fare della finzione, la realtà della vita attraverso la forma drammatica.
Ecco infatti il dottor Hinkfuss che, armato di bastone con impugnatura d'argento ma non per questo meno minaccioso, vuole mettere in scena (tra i bellissimi volteggianti veli ideati da Aldo Terlizzi) una novelletta, anzi un abbozzo di novelletta - guarda caso - di tale Luigi Pirandello, Leonora addio; e sta a discutere, prima con il pubblico, poi con i suoi attori, i quali non ammettono d'essere marionette nelle mani di lui, ma pretendono di vivere per sé stessi, la loro storia.
La storia di una famiglia, i Croce, nella chiusa provincia siciliana, con una madre, Ignazia, soprannominata la Generala per l'autoritarismo con cui spesso umilia il povero marito e per la superba indifferenza che oppone alle critiche della gente scandalizzata nel vedere con quanta libertà - lei di origine napoletana e quindi spregiudicatamente "continentale" -concede alle sue quattro figlie di frequentare gli ufficiali del vicino campo d'aviazione.
Il marito, che tutti chiamano Sampognetta per l'inveterato vizio di fischiettare, romantico, patetico innamorato d'una sciantosa di cabaret, morirà accoltellato dall'amante di costei; e Il personaggio, dimenticato dal dottor Hinkfuss, dovrà ripetere due volte la sua morte in scena, provocando la rivolta di tutti gli attori. Hinkfuss se ne deve andare, anche se poi sapremo che non se ne sarà andato affatto; e comincia allora l'ultimo vero atto del dramma...
Sono trascorsi sette anni: Mommina, l'unica sposata delle quattro figlie della Generala, è mamma di due bimbe, schiavizzata dal marito siciliano, uno di quei tali ufficiali d'aviazione che, perversamente, quanto irragionevolmente geloso del suo passato innocente, la perseguita, la martirizza e per soprammercato (ma a questo punto Pirandello non c'entra) la stupra con ferocia. La sera che nel teatro del paese viene a cantare, interprete del Trovatore, una sua sorella, Mommina, lei che una volta sapeva cantare così bene, racconta alle figliolette la favola magica del teatro, fino a spegnersi nell'ultima, struggente nostalgia. Nel sonno della morte la troveranno la mamma e le sorelle che, tornate a essere attrici, dovranno ammettere d'aver vissuto così come aveva loro imposto, nascostamente, il dottor Hinkfuss. [...]
Masolino D'Amico, la Stampa, 9 agosto 1995
Marina di Pietrasanta. Oscar Wilde diceva che solo il banditore delle aste ammira ugualmente tutte le scuole di pittura, allo stesso modo è logico che i registi trovino certi autori più congeniali di altri. Giuseppe Patroni Griffi «fa» bene tutto, ma ogni volta che si avvicina a Pirandello si esalta. E la famosa incompatibilità fra napoletani e siciliani? In qualcosa forse proprio questa incompatibilità, ma chiamiamola differenza, è costruttiva, per esempio Pirandello è causidico e tende a complicare le cose, Patroni Griffi, a semplificarle arrivando al nocciolo; l'umorismo di Pirandello è sardonico e pesante, quello di Patroni Griffi, elegante e leggero. Pirandello - poi qui siamo su terreno neutro - è Profondamente radicato nel suo tempo, e Patroni Griffi possiede una particolare sensibilità, quasi una nostalgia, per quell'epoca, che quindi ricrea con gusto e senza sforzo. Ci sono poi notevoli tratti comuni, in particolare, come Pirandello anche Patroni Griffi è uno scrittore che si è avvicinato al teatro solo in un secondo tempo, e che scrittore è rimasto anche dopo essere diventato un signor professionista del suo secondo mestiere.
Spesso quando i registi mettono in scena Questa sera si recita a soggetto - il dramma che nella trilogia cosiddetta del teatro parla delle diverse funzioni di autore e regista - danno per scontato che Pirandello condanni Hinkfuss, il regista-demiurgo che luciferinamente dichiara la propria onnipotenza sul testo una volta che il poeta abbia terminato di scriverlo. Hinkfuss, che in certe letture viene proposto addirittura come una specie di piccolo Hitler della sala prove, imperversa sugli attori e continua a mescolare le carte (nella storia che costoro cercano di raccontare, finché una loro rivolta non lo elimina, e finalmente la commedia arriva a un suo commovente finale. Scrittore ma anche regista e capocomico, proprio come Pirandello, Patroni Griffi considera invece Hinkfuss addirittura con simpatia, come un chiacchierone un po' trombone ma appassionato del suo lavoro e benché certamente illuso nelle sue convinzioni di onnipotenza, utile come parte di un metabolismo complesso e in definitiva misterioso come quello di ogni creazione artistica. Dialogando col pubblico, comicamente esasperandosi davanti alle ingenue obbiezioni di finti spettatori (che creano la stessa eccitazione quasi lo stesso sconcerto di (quando la pièce nacque, alla fine degli Anni Venti!), Sebastiano Lo Monaco è dunque un accattivante pivot biancovestito e sudaticcio con barbetta mefistofelica alla Béjart, perfettamente a suo agio nella manipolazione dei molti scritturati che gli si abbandonano con un misto di rispetto e sospetto.
Katia Ippaso, Primafila, ottobre 1995
Nella stagione '88 -'89 Giuseppe Patroni Griffi mandò in giro per l'Italia, con successo, il suo trittico pirandelliano, un'opera complessa, modulata su una vitale dialettica visivo-concettuale. E sembrava finito lì, quel suo febbrile domandare allo scrittore girgentino i perché e i come del teatro nel teatro. A sorpresa giunge invece una riedizione leggermente riveduta e corretta di Questa sera si recita a soggetto, terza parte dell'ideale trilogia che Pirandello compose dal '21 al '29, partendo da Sei in cerca d'autore e passando per Ciascuno a suo modo. Un'occasione, per chi non l'ha visto e per chi l'ha visto, di accedere ad un Pirandello riossigenato da una tonalità briosa, elegante, della regia, capace di passare le idee senza scavare solchi troppo massicci] tra evento e spettatore, da una scenografia parlante di Aldo Terlizzi (ha abolito il sipario convenzionale in favore di due sipari neri che recitano, anche loro, a soggetto, come ama dire Patroni Griffi) e da un cast altisonante, che vede folgorare Alida Valli, al suo terzo Pirandello. Questa sera si recita a soggetto lo teorizzò lo stesso scrittore nella prefazione - cambia i soggetti dell'azzardante scomposizione drammaturgica che prima aveva centrato il conflitto tra personaggi, attori e capocomico (Sei personaggi in cerca d'autore) e poi quello tra spettatore, autore e attori (Ciascuno a suo modo), schierando infine personaggi contro regista. Non dimentichiamo che Pirandello scrisse la terza opera della sua trilogia metateatrale a Berlino, in un momento di grande vitalità sul piano della sperimentazione. Nella figura del dottor Hinkfuss, il regista che vuole far improvvisare i suoi attori, sembrano condensarsi infatti le sollecitazioni avanguardistiche della repubblica di Weimar. E pare di sentire, attraverso le parole del diabolico metteur in scene, lo stupore dello stesso Pirandello ospite di una Berlino eccitante ed eclettica, la segreta attrazione dello scrittore siciliano verso l'Europa culturale che scopre innervata di poetiche tese a far scoppiare la forma. La forma, appunto, in contrasto con la vita. E' di questo che parla Questa sera si recita a soggetto. E quindi del rapporto tra l'opera scritta, che è chiusa, e la scena, casa dell'aperto e dell'azzardo. Non è una questione di tradizione-tradimento, ma di respiro. Il dottor Hinkfuss, che in questa versione è interpretato con salutare sfrontatezza da un inedito Sebastiano Lo Monaco (direttore artistico della Compagnia Sicilia Teatro che inizia qui un sodalizio con Patroni Griffi), vorrebbe che gli attori della sua compagnia lasciassero in valigia il copione per lanciarsi in una recita improvvisata, esponendo - senza paura di apparire indecenti ferite, entusiasmi, tracciati biografici. Facendo, insomma, scoppiare il testo-tomba. Gli attori non ci stanno, se non per gioco, per sperimentazione. E quindi, in ultima analisi, per una tentazione squisitamente formale. Ma protestano, con acuti anche drammatici, fino ad implorare il testo, che li difenda da se stessi che cosi sparpagliati come sono non sanno dove ripararsi. La compagnia, lo annuncia lo stesso Hinkfuss ad inizio di una rappresentazione dichiaratamente metateatrale (interviene subito il finto pubblico, facendo qui riferimento anche al Maurizio Costanzo Show in uno sforzo di adattamento molto circoscritta) deve mettere in scena una novella di un "certo" Pirandello, Addio Leonora!, melodrammone a fosche tinte che ha per tema la gelosia. In una parola, letteratura. Sulla quale il bisturi di Hinkfuss vorrebbe operare con sorprese, prodigi, scenotecniche da capogiro (ed è certo con un pizzico di autoironia che regista - Patroni Griffi e scenografo - Terlizzi - preparano effetti a catena, tra i quali un magnifico campo d'aviazione: un vero colpo di teatro). Ma non ci riesce perché, come gli urla la Chanteuse: «Lei finora ha scherzato con la sua macchina del teatro, il dramma deve venir fuori, venir fuori». Anche l'attore brillante, il Sampognetta (Giustino Durano in una delle sue prove più corpose e sfumate) protesta perché non riesce a morire come si deve, a causa di questo regime anarchico in cui ciascuno pensa a se stesso e se ne infischia di un povero cristo che deve fare la sua scena madre. Gli attori vogliono essere personaggi. Vogliono che la vita venga loro restituita. E cosi che Hinkfuss viene cacciato. Mommina, figlia di Sampognetta e della Generala - al personaggio della madre dà vita Alida Valli, perfetto miscuglio di divismo e ironia, si avvia a morire. Per colpa del Verri (un energico Danílo Nigrelli), quel marito ossessivo che l'ha serrata in casa nell'insensato tentativo di farle dimenticare il passato di spudoratezze condotto con mamma e sorelle. E in questa "stanza della tortura" che il personaggio di Mommina - acceso e distillato dall'intensa Liliana Massari - viene sequestrato (come scrive Macchia). Ma proprio in questo luogo di morte, senza porte né finestre, si celebra uno straordinario rito di rinascita. Nell'invocazione finale di Mommina che, prima di spirare, fa la "recita" per le figlie, cantando Il Trovatore, la vita si prende tutta la sua rivincita sulla forma. E la vita del teatro - che è qui attraversato simbolicamente nelle sue deformazioni popolari, cabaret e melodramma. E' la vita "sequestrata" dalla parola (scritta) pirandelliana. Ed è, in ultimo, la vita nella scena sontuosa e lieve di Patroni Griffi, che dribbla abilmente il reticolato del concettualismo, del "meta". Applausi convinti e riconoscenti.
Questa Sera Si Recita A Soggetto
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