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Questa Sera Si Recita A Soggetto

QUESTA SERA SI RECITA A SOGGETTO
di Luigi Pirandello

Interventi

LE PRIME MESSINSCENE di Alessandro Tinterri

Il 15 agosto 1928, a Viareggio, con una replica de La donna del mare di lbsen, si scioglieva la Compagnia del Teatro d'Arte di Roma, che Pirandello aveva diretto durante i tre anni della sua attività artistica. Tramontava con essa il sogno dello scrittore siciliano della creazione di un teatro d'arte in grado di vincere la battaglia per la riforma del teatro in Italia. Così come erano naufragati i progetti per la fondazione di un teatro di Stato e la nascita di una rete di compagnie stabili sovvenzionate, a Roma, Milano e Torino, tali da sottrarsi ai pesanti condizionamenti di cui soffriva la scena teatrale italiana. La dittatura fascista, che avrebbe potuto imporre dall'alto una riforma delle strutture, aveva dimostrato di non avere alcun interesse a contrastare consolidate posizioni di privilegio. Il fallimento di un'intesa con Mussolini fu tra le cause che determinarono la decisione di Pirandello di lasciare l'Italia per trasferirsi, nell'autunno 1928, in Germania, in una sorta di volontario esilio. Dagli stimoli della vita teatrale berlinese e dalla recente esperienza capocomicale nacque Questa sera si recita a soggetto, che egli terminò di scrivere a Berlino il 24 marzo 1929.

L'edizione tedesca della nuova commedia pirandelliana, nella traduzione di Heinrich Kahn (Berlin, Rei mar Hobbing, 1929), precederà quella italiana (Milano, Mondadori, 1930) e sulla copia donata a Reinhardt Pirandello scriverà una dedica significativa: «a Max Reinhardt la cui incomparabile forza creatrice ha dato magica vita sulla scena tedesca a "Sei personaggi in cerca d'autore" io dedico con profonda riconoscenza questa terza parte della trilogia del Teatro nel Teatro».

Il regista austriaco, protagonista della scena tedesca del momento e ispiratore della figura di Hinkfuss, era agli occhi dell'autore il regista ideale per la sua commedia, e Pirandello, in una lettera datata Berlino 4 aprile 1929, comunicava a Guido Salvini la suggestiva ipotesi: «Non so ancora se sarà messa in scena da Reinhardt o da Hartung. Per un Direttore di scena sarà una prova magnifica, anche di abnegazione, perché la commedia come forse saprà - è contro gli eccessi della così detta régie».

Mentre in Germania le cose procedevano, la realizzazione teatrale della commedia in Italia sembrava ancora lontana e Pirandello confidava in una lettera apparsa sul "Tevere" del 4 novembre 1929 tutta la sua amarezza per le difficoltà che continuamente si opponevano alla rappresentazione delle sue novità: «Quanto all'altro lavoro, "Questa sera si recita a soggetto", per cui s'era convenuto di formare un'apposita compagnia che dopo averlo messo in inscena a Milano lo portasse nelle altre città d'Italia, trovai che l'impresa "Za Bum" si rifiutava di prendere l'impegno della rappresentazione del lavoro, se prima non vedeva come sarebbe stato messo in inscena all'estero. [ ] "Questa sera si recita a soggetto", prima che in Italia, dovrà per forza essere rappresentato all'estero per poter sperare che poi si decidano a rappresentarlo nel mio paese [ ]»

L'anno successivo, prima che a Berlino, Questa sera si recita a soggetto andava in scena il 25 gennaio 1930 a Konigsberg; l'attuale Kaliningrad, città di provincia della Russia orientale, per la regia di Hans Carl Múller.

Per la perifericità del luogo, quello spettacolo ebbe una risonanza assai minore rispetto alla mediocre edizione che seguì, nel maggio dello stesso anno, al Lessing Theater di Berlino, con la regia di Hans Hartung. Fatto questo che pesò sulla valutazione della storiografia successiva. Valga l'esempio di Oscar Budel che nel suo saggio su Pirandello sulla scena tedesca si limitava in proposito a un accenno di poche righe:

«Questa sera si recita a soggetto si diede in prima assoluta al Neues Schauspielhaus di Konigsberg sotto la regia di Hans Carl Múller con la scenografia di Casar Klein davanti ad un pubblico provinciale e bonaccione disposto a tollerare anche questo scherzo. Non suscitò alcun incidente.»

Di diverso parere si dichiara lo studioso danese Steen Jansen, che, in una minuziosa ricostruzione, ha cercato di restituire a quell'evento la sua reale portata e, circa la versione di Búdel, osserva: «In questo caso però, ci sarebbe proprio un abisso fra da un lato tale messinscena quasi insignificante e, dall'altro non solo la ben nota lettera di Pirandello a Salvini in cui descrive lo spettacolo allestito da Múller, ma anche le recensioni [ ]. E queste non solo sono unanimi nelle loro valutazioni, ma la maggior parte mi sembrano anche di una tale qualità che mi risulta difficile crede re che la messinscena di Múller sia stata una messinscena qualsiasi.»

Secondo Jansen, Múller riuscì a creare un equilibrio fra i due piani dello spettacolo: da un lato la storia di Mommina e l'ambiente siciliano, in cui essa è ambientata, dall'altro le vicende del Dottor Hinkfuss e dei suoi attori. Senza sottomettere una parte dello spettacolo all'altra, il regista sarebbe riuscito a interessare gli spettatori alle vicende della famiglia La Croce, superandone l'apparente banalità, e, nel contempo, avrebbe saputo dare al conflitto che oppone Hinkfuss ai suoi attori una dimensione tale da essere compresa da un pubblico più vasto che non quello dei soli specialisti. Il tutto era condito da una vena ironica e folklorìstica rintracciabile nelle fotografie che ritraggono la scenografia iniziale di Kalbruss, caratterizzata da un fondale in cui si vede un vulcano che fuma e la carta geografica dello stivale italiano. Il carattere folkloristico aveva il compito di rendere più accessibile e interessante per una platea tedesca la storia siciliana della famiglia La Croce. Di ritorno da Kónigsberg, dove aveva visto una delle repliche dello spettacolo, Pirandello lo descrisse in termini entusiasti a Salvini, in una lunga lettera del 30 marzo 1930: «Mirabile. La commedia vive tutta, di vita meravigliosa, senza posare un momento, e il pubblico, che vorrebbe aver cento occhi e cento orecchi, ne resta incantato dal principio alla fine. Lo stupore diventa subito il clima naturale della commedia, per cui naturali appaiono anche i fulminei trapassi dal comico al tragico, e tutto è accettato con gioia quasi infantile dal pubblico che a un tempo ride e si commuove.»

Se pure può sorgere il dubbio che Pirandello sia animato anche dalla intenzione di accrescere l'interesse per il testo in Salvini, ormai prossimo a mettere in scena la commedia in Italia, l'articolarsi delle argomentazioni successive, adoperate per elogiare la regia di Múller, allontana ogni sospetto e il tono dello scrittore ci appare talvolta enfatizzato tutt'al più dalla legittima preoccupazione di trasmettere all'interlocutore il suo sincero entusiasmo:

«Il régisseur Hans Carl Múller ha dato un magnifico e vistosissimo risalto tanto alla processione religiosa, quanto alla scena del Cabaret che scatta subito dopo, in stridentissimo contrasto, di straordinario effetto. Dopo la scena della presentazione, a sipario ancora chiuso si cominciano a sentire le campane, il suono dell'organo e il coro dei divoti entro la chiesa; poi dal fondo della sala attaccano le cornamuse e gli acciarini. Con bella trovata, si fa uscire dalla chiesa sul palcoscenico incontro alla processione che muove dal fondo della sala, un prete parato di tutto punto, coi nicchio, il camice e la stola, preceduto da quattro chierici, i due primi coi turiboli, gli altri due con candele accese; dopo il prete, ci sono le quattro "verginelle" che reggono per le mazze il baldacchino celeste. Muovono dalla chiesa lentamente, arrivano fino alla ribalta e là sostano aspettando che "la sacra Famiglia" seguita dalla processione attraversi cantando al suono delle cornamuse, e degli acciarini che seguono, tutta la sala; prendono sotto il baldacchino "la sacra Famiglia" e rientrano nella chiesa. Il codazzo è numeroso e di bellissimo effetto pittorico.» Alla vista di quella scena dovette riallacciarsi in Pirandello la visione di un'altra processione, quella di Sagra del Signore della Nave, lo spettacolo con cui anni prima, il 2 aprile 1925, egli aveva inaugurato a Roma il Teatro d'Arte. Forse anche di qui nasceva il tono di partecipazione con cui Pirandello ha descritto la scena a Salvini, che aveva condiviso l'esperienza del Teatro d'Arte e poteva intuire le ragioni intime di tanto fervore.

Alla descrizione della scena del Cabaret («La trasparenza della parete del Cabaret è ottenuta magnificamente: scatto immediato, di suoni, di luci, di colori») segue nella lettera di Pirandello l'immagine del teatro nel teatro:

«Non meno opportunamente il Múller ha disposto che la scena del teatro nel teatro avvenisse, non in un solo palco, ma in due palchi, a riscontro, per modo che nessuna parte degli spettatori fosse sacrificata. Tutti quei giovanotti con tutte quelle ragazze e l'ineffabile madre, si distribuiscono parte in un palco e parte nell'altro dirimpetto, la madre parla dall'uno e le figliuole dall'altro. Con un'ingegnosa trovata, il cabaret intanto è stato trasformato con pochi elementi sintetici e parodistici in scena di melodramma; si rifà la trasparenza della parete, e mentre il pubblico che non ci pensa più sta a guardare i due palchi illuminati e ciò che vi avviene, che è e che non è, dai due lembi del sipario accostati fino a prendere in mezzo solo quella parete trasparente, si vede lassù una Primadonna e un Baritono che cantano goffamente al suono d'un grammofono, ingrandito dalla radio, il finale del primo atto d'un melodramma italiano. L'effetto è irresistibile. Pare una vera opera di magia. Altro che Fregoli! In un batter d'occhio, tutto cangiato. Siamo veramente in un teatro d'opera di provincia, d'opera per ridere, di cui si fa la caricatura e la parodia, cantanti che si abbracciano vestiti di velluto e piumati, e il grammofono invece dell'orchestra.»

Ma ciò che più ha acceso la fantasia dello scrittore siciliano al punto di farlo prorompere in una esclamazione ammirata («tutto il teatro recita!») è il momento in cui gli attori si sparpagliavano per ogni dove nel teatro coinvolgendo il pubblico nel gioco teatrale. Si veniva così a creare una delle suggestioni teatrali più care a Pirandello, da lui spesso riaffermata nelle dichiarazioni e nella prassi all'epoca del suo apprendistato registico: «Calato il sipario tra lo scandalo che avviene in teatro per opera della Signora Ignazia, la sala viene illuminata al comando del Dottor Hinkfuss montato su I palcoscenico; ma il pubblico non esce dalla sala, benché dagli uscieri siano aperti gli usci che danno sul corridoio: non esce, perché, mentre il Dottor Hinkfuss seguita a parlare sul palcoscenico, attraverso gli usci aperti si vedono passeggiare a braccetto le coppie dei giovanotti con le ragazze La Croce, e nel palchetto si vede ancora la Signora Ignazia rimasta con due degli ufficiali; il Dottor Hinkfuss, finito il suo discorsetto, fa tirare di nuovo il sipario, e allora avviene il prodigio: tutto il teatro recita! Il Dottor Hinkfuss sul palcoscenico fa smontare la scena dai macchinisti e dagli apparatori; nel mentre, giù nella sala illuminata, entra un ragazzotto che va vendendo cioccolattini e caramelle e giornali, con la sua cassetta ad armacollo, e il suo berrettino da barman gallonato; Nenè e Totina lo vedono e trascinano dal corridoio nella scena davanti al palcoscenico, sotto la buca del suggeritore, i due giovani che sono con loro, Pomarici e Sarelli, a comprare quei cioccolattini, e la prima scenetta si svolge lì; poi, questi quattro s'allontanano, se ne vengono fin sotto al palco dov'è rimasta la madre, e intanto entrano da un altro uscio nella sala, conversando, Dorina e Nardi, che infine chiamano e si uniscono agli altri quattro, e finita la scenetta d'insieme, tornano a uscire sul corridoio; ma già nella sala sono entrati Verri e Mommina a far la loro, appoggiati alla ringhiera d'un palco di prima fila; il pubblico non sa dove voltarsi prima; è preso da tutte le parti; l'ultima delle scenette, quella della Signora Ignazia coi due ufficiali si svolge nel palco.»

Se il dettagliato resoconto di Pirandello privilegia gli aspetti spettacolari della messinscena di Múller, essa non si risolveva soltanto in essi, ma, come si è accennato, la storia di Mommina vi aveva la sua parte, sino al tragico finale. Non a caso viene osservato dalla maggior parte dei critici che l'atmosfera farsesca dell'inizio volgeva, col procedere dello spettacolo, al tragico, sino a culminare in un finale di sapore strindberghiano. Notazione che ci ricorda le tradizioni espressioniste del teatro di Koningsberg, dove Leopold Jessner aveva operato sino al 1919 in qualità di capo-regista.

Esito ben diverso ebbe la rappresentazione di Questa sera si recita a soggetto a Berlino, dove lo spettacolo andò in scena il 31 maggio 1930, al Lessingtheater, con la regia di Gustav Hartung: «Già durante i primi due atti lo scandalo era nell'aria. Quando, poi, nell'ultimo atto, Elisabeth Lennartz giunse alla scena dove Mommina canta alle figlie le arie del Trovatore, proruppe apertamente. Poco prima, durante il bisticcio tra il Dottor Hinkfuss e gli attori, al sentir pronunciar battute come "se ne vada! Via! Via!", il pubblico, già teso oltremisura, coglieva l'imbeccata e gridava "Schluss, Schluss!" : Il regista Hartung aveva reagito, urlando al pubblico "Respektlose Bande!". L'attrice, in lacrime, e nonostante i fischi e le richieste sempre più insistenti di smetterla, proseguì fino alla fine. Quando tra le grida del pubblico finalmente calò il sipario, l'applauso fu soprattutto per lei, per la sua eccezionale prestazione. Nonostante i dissensi, anche Pirandello, insieme al regista, comparve alla ribalta. Più d'un cronista, all'indomani, si dichiarò sorpreso che la commedia fosse giunta al termine [ ].»

Non meno severa, la critica berlinese rivelò un senso di insofferenza, nei confronti del teatro pirandelliano, che andava oltre l'occasione:

«Herbert lhering, uno dei più insigni critici della Berlino d'allora, ritenne la gazzarra pienamente giustificata e giudicò la commedia un "nonsenso confuso che si spacciava per profondità". Anche la messinscena era stata insufficientemente, acusticamente difettosa, pesante invece d'esser travolgente. E concluse: la moda pirandelliana è definitivamente passata.»

Il 4 aprile 1929, da Berlino, Pirandello annunciava a Salvini l'invio, ormai prossimo, del dattiloscritto della nuova commedia:

«Ho tardato a risponderle aspettando di giorno in giorno di poterle mandare una copia della mia nuova commedia Questa sera si recita a soggetto. Ma purtroppo ancora il copista, che con molta difficoltà son riuscito a trovare in paese straniero, mancando alla promessa, non ha finito di farle. Avrò le prime quattro, forse domani, o domani l'altro, e una sarà certamente per Lei. Qua per questa commedia c'è una vivissima attesa [ ].» Circa un anno dopo Pirandello concludeva la lettera a Salvini del 30 marzo 1930 con alcune indicazioni per l'imminente rappresentazione italiana: «Non è possibile non fare intervenire il Dr. Hinkfuss al finale. Un effetto tragico dev'essere ottenuto appieno con la morte di Mommina e il sopravvenire del marito con la madre e le sorelle. Che il Dr. Hinkfuss lo spezzi esprimendo la sua soddisfazione è naturale. Quella scena tragica finale non può essere fine a se stessa. Bisogna arrivare alla conclusione di tutto quell'esperimento di "recita a soggetto". E la conclusione dev'essere che il teatro dev'essere reintegrato nei suoi tre elementi: poeta, régisseur, attori. Ho piuttosto pensato d'aggiungere qualche battuta per rendere più perspicuo il senso di tutto questo. Quando Verri si china su Mommina rimasta a terra e le dice, su per giù: "Si rialzi, Signorina; non ha capito che bisogna finire con una buffonata?"; Mommina, tirata su per le braccia, è inerte, come morta davvero, sfinita, esausta: ha vissuto, non ha recitato. Gli attori non possono far questo ogni sera. Gli attori debbono avere una parte da recitare. E ci vuole il poeta che la dia loro. Questo, veramente, è detto, ma forse troppo sinteticamente, e più sottinteso che espresso. Mi manca ora il testo per aggiungervi queste tre o quattro battute tra gli attori. Aspetto che Mondadori mi mandi qualche copia del lavoro già stampato. Provando, per il momento, le aggiunga Lei.»

Seguono a questo punto alcune battute, più o meno le stesse che ritroviamo, diligentemente trascritte da Salvini, sull'esemplare del testo a stampa (edizione febbraio 1930) annotato di suo pugno in vista della prima rappresentazione, conservato al Museo Biblioteca dell'Attore di Genova:

«L'ATTORE BRILLANTE: Ohé, non sarà morta per davvero?

IL PRIMO ATTORE (chinandosi sulla Prima Attrice per aiutarla a rialzarsi) Si alzi, si alzi, signorina: deve finir per forza con una buffonata, non l'ha ancora capito? Oh Dio, signorina che cos'ha?

DORINA Si sente male davvero?

SIGNORA IGNAZIA Il cuore, il cuore davvero?

VERRI Su, su, signorina, piano, l'aiuto io, una sedia, i sali.

L'ATTORE BRILLANTE Eh, sfido, ha vissuto, non ha recitato, ma questi sono sforzi che si possono fare una sera soltanto. Lei non vorrà mica che ci si lasci la pelle?

IL DOTTOR HINKFUSS No, cari miei, ma non vi par dimostrato che se c'è bisogno di voi che volete obbedire all'arte, c'è anche bisogno di me, dovete convenite; non foss'altro per sapere predisporre e regolare codesta vostra obbedienza.

L'ATTORE BRILLANTE Ma anche bisogno prima di tutto dell'autore, creda pure, che ci dia le parti scritte, da imparare a memoria!

IL DOTTOR HINKFUSS No! L'autore no, qua! Le sue parti scritte, sì, va bene, perché riabbiano vita da noi, per un momento, e (rivolto al pubblico) senza più le impertinenze e le sconvenienze di questa sera, che il pubblico ci vorrà perdonare.» Le battute che abbiamo riportato costituiscono uno stadio intermedio tra il finale della prima edizione e la sua rielaborazione nella seconda e definitiva edizione (1933), dove la variante di maggior rilievo riguarda la soppressione della penultima battuta del Dottor Hinkfuss. Oltre a numerosi tagli alla parte di Hinkfuss, specie alle dichiarazioni iniziali, sfrondate di quasi tutte le considerazioni sul rapporto arte-vita, l'esemplare della commedia di proprietà di Salvini reca le tracce degli interventi censori cui il testo fu sottoposto per la rappresentazione. Vì sono, infatti, puntualmente, cancellati tutti i riferimenti alla condizione militare di Verri e dei suoi compagni, trasformati per l'occasione in piloti civili. Così come l'Ave Maria recitata dalla Signora Ignazia, vi è sostituita da una preghiera a San Gennaro: «San Gennaro benedetto, faccia verde faccia gialla, fatemi 'sta grazia, fatemi passare 'sto male di denti »

In risposta alle richieste di Salvini al riguardo, sempre nella lettera del 30 marzo, Pirandello aveva suggerito: «Per ciò che riguarda il pericolo degli "ufficiali" sulla scena, veda di farli giovani ingegneri minerari belgi alla dipendenza d'una Società belga, assuntrice d'un campo minerario in Sicilia. Rico Verri potrà figurare come apprendista, in tirocinio, presso codesta Società. Insomma, immaginare che ci sia come una scuola per codesti ingegneri, d'esercitazione pratica; per cui possano avere una specie di costume: giacche azzurre o kaki e calzoni bianchi, con berretto a baviera di cuoio, o altrimenti, purché faccia colore. Il Dr. Hinkfuss in questo caso, invece che un campo d'aviazione, potrebbe apparecchiare questo campo minerario in Sicilia, con qualche forno Gill, e in fondo questa scuola di ingegneri belgi. Quanto all'Avemaria, che vuole che le dica? Mi avvilisce pensare che siamo arrivati fino a questo punto Vada per San Gennaro!» Questa sera si recita a soggetto andò in scena al Teatro di Torino il 14 aprile 1930, regista e scenografo Guido Salvini, ad opera della Compagnia appositamente costituita e diretta dallo stesso Salvini. Principali interpreti dello spettacolo furono: Renzo Ricci nei panni del Dottor Hinkfuss, Bella Starace Sainati (Signora Ignazia), Enzo Biliotti (Sampognetta , Carlo Ninchi (Rico Verri), Laura Peroni (Mommina), Flavio Diaz (Pomarici), Fulvio Testi (Sarelli), Ezio Banchelli (Nardi), Giovanni Saccenti (Pometti), Bruno Calabretta (Mangini), Matilde Casagrande (Totina), Silvana di Sangiorgio (Dorina), Pina Torniai (Nené), Li a Di Lorenzo (la chanteuse). Dopo Torino lo spettacolo fu portato in altre città italiane, visitate nel corso della tournée della compagnia: Genova (Teatro Paganini), Cremona (Politeama Verdi), Corno (Politeama), Milano (Teatro Manzoni), Firenze (Teatro della Pergola), sino alla prima romana (Teatro Quirino), del 16 giugno.

Pirandello, perché indisposto, non poté recarsi a Torino per assistere alla prima, ma da Berlino si affrettò a congratularsi per l'esito dello spettacolo: «Dunque, Questa sera si recita a soggetto è proprio andata come meglio non si poteva desiderare. Ne sono veramente contento, tanto per me, quanto per Lei. Per Lei, caro Salvini, anche di più, considerando il coraggio che ha avuto a cimentarsi, dopo che quei banditi di Milano avevano decretato che solo un pazzo aveva potuto scrivere un tal lavoro e solo un pazzo avrebbe potuto provarsi a rappresentarlo [ ] Ho letto le critiche bellissime del Bertuetti e anche di quei f. e b. della "Stampa" che mi fu tanto contrario quando a Torino varai il Lazzaro (io non so neppure chi sia). Fa un solo appunto di prolissità all'ultima scena, che a me pare la più bella. Ma se veramente alla rappresentazione risulta un po' lunga, faccia ancora - con mano accorta e sicura - qualche taglio, caro Salvini: bisogna rendere il lavoro perfetto, anche secondo le esigenze del palcoscenico, le capacità di resa degli attori e di sopportazione da parte del pubblico.»

L'accoglienza dei critici torinesi era stata davvero entusiasta. Eugenio Bertuetti sulla "Gazzetta del Popolo" aveva salutato il ritorno di un Pirandello «rinato e rinvigorito sulle torturate esperienze passate». Francesco Bernardelli della "Stampa" vide nella nuova commedia di Pirandello non solo il «frutto della sua grande esperienza e passione di uomo di teatro, della sua perfetta conoscenza di ciò che è convenzionalismo e di ciò che è astuzia di palcoscenico», ma anche i segni di «un'autentica e alta commozione»; «Il senso del teatro e quello della poesia del teatro hanno mirabilmente sorretto l'autore in questa audace prova». Merito anche del regista Salvini, se la tematica del lavoro fu recepita nella sua complessità e la teatralità della commedia non venne esaltata, a scapito delle vene più intimamente commosse, presenti nel testo. Dalla descrizione del critico della "Stampa" emerge la naturalezza ottenuta, grazie all'abile orchestrazione registica, nella scena del teatro d'opera: «Si recitava in palcoscenico e nella sala; gli attori oltrepassavano e ripassavano il boccascena per venirsi a mescolare al pubblico, o per rientrare nel quadro della progettata finzione; parlavano dalla corsia che corre tra le poltrone, dai palchi o tra gli scenari pitturati, con la stessa disinvoltura; vogliam dire con una finezza di trapassi che ci teneva sospesi e stupiti. I più bei tratti della finzione teatrale si potevano cogliere quando non si riusciva più a capire che tutto era finzione [ ].»

Circa gli effetti di luce, che Bertuetti definì suggestivi, magici davvero, Alberto Cecchi annoterà, dopo la prima romana dello spettacolo: «Le luci, variando di intensità e di colore, indicavano agli spettatori la "finzione" e la "realtà" volta a volta». Il successo si rinnovò a Genova e Salvini scrisse a Pirandello, che ancora non aveva visto lo spettacolo: «un'altra prova e un nuovo trionfo. Le mando i giornali. Mai o quasi mai la stampa di una città fu così unanime nel giudicare una commedia».

A Milano Renato Simoni confermò le lodi, ovunque riscosse, ai principali interpreti dello spettacolo: da Bella Starace Sainati' attrice proveniente dal Grand Guignol, «per la ricca festosità della sua recitazione, per il colore che diede, vivo e caldo, alla figura della signora napoletana»; a Renzo Ricci «per l'energia e la finezza della dizione e per il carattere tra burlesco e meflstofelico che diede al dottor Hinkfuss»; a Enzo Biliotti «per gli effetti che ottenne, passando dalla interpretazione della commedia a soggetto al discorso semplice della realtà, con una precisione, una prontezza, una scioltezza di grande effetto»; alla giovane Laura Peroni «per la quale la parte difficile e drammatica della donna che muore, è ancora, verso la fine, un poco gravosa, e lo sarebbe per qualunque esercitata attrice; ma che tuttavia ha mostrato sensibilità, delicatezza, sincerità e forza di passione»; a Carlo Ninchi, «uno fra i nostri migliori attori». Un plauso particolare riservò Simoni alla prova data da Salvini: «Guido Salvini, che ha messo in scena Questa sera si recita a soggetto, merita lodi incondizionate. Nello spettacolo si è sentita la fermezza d'una intelligente volontà animatrice. Le molle difficoltà che quest'opera presenta, furono risolte con una piacevolezza pittoresca ammirabile. Scene, composizioni di gruppi, intonazioni, effetti comici, effetti drammatici, colori, luci, tutto mi parve singolarmente pregevole. Ecco un giovine direttore che sa il fatto proprio e che potrà rendere ottimi servigi al nostro teatro.»

Ancorché desse un giudizio negativo sulla commedia di Pirandello, gli faceva eco Mario Ferrigni sulle pagine dell'illustrazione Italiana" del 12 maggio:

«Bisogna salutare con gioia la rivelazione di un giovane direttore di compagnia e di scena; né mi dispiace il titolo di "maestro di scena" che si è dato da sé. [ ] Non avesse altro merito, la nuova commedia di Luigi Pirandello, che quello di aver dato occasione a questa rivelazione, gli dovremmo riconoscenza.» Pirandello vide lo spettacolo di Salvini solo il 16 giugno, alla prima romana. Sino allora lo avevano trattenuto a Berlino le sue condizioni di salute, le prove di Questa sera si recita a soggetto al Lessing Theater (il 27 maggio scriveva a Marta Abba di aver assistito a nove ore di prove), nonché un comprensibile disagio all'idea di ritornare in Italia, seppure per un breve periodo, vinto dalle continue affettuose insistenze di Salvini, al quale lo scrittore aveva espresso le proprie perplessità al riguardo: « [ ] Le confesso che, indebolito come sono, affrontare un così lungo viaggio di andata e ritorno, senz'aver tempo di riposarmi un poco, mi dà pensiero. E poi, per tant'altre ragioni, rimetter piede in Italia Ma non voglio dirle subito e senz'altro di no Vedremo.»

Così Enrico Rocca sintetizzava l'esito della prima al Teatro Quirino: «Il successo fu travolgente dopo i due primi atti e diviso tra il palcoscenico, dove l'autore non volle presentarsi che una sola volta, e il palco dove il pubblico lo aveva scoperto (non ultimo paradosso della serata) più disposto a plaudire i suoi attori che a farsi applaudire. La gratitudine per lo spasso iniziale salvò il terzo atto che pure, a suo modo, ha scene non trascurabili».» Alberto Cecchi scriveva sul "Tevere":

«Questa sera è uno "spettacolo", quasi diremmo nel senso in cui lo intendono, a parole Bontempelli, a fatti Tairoff. Anche tenendo conto della parte che spetta a Guido Salvini, eccellente maestro di scena, resta assicurato che l'opera possiede i caratteri esterni e gli svolgimenti che a uno spettacolo si domandano.» Se Simoni aveva lamentato l'ovvietà della conclusione della commedia, cioè che «il teatro dev'essere reintegrato nei suoi tre elementi: poeta, régisseur, attori» (secondo l'enunciato dello stesso Pirandello a Salvini), non altrettanto pacifica appariva l'interpretazione del messaggio a Silvio D'Amico, che vi leggeva, piuttosto, il prevalere in ultima istanza del régisseur.«Conclusione? Che ogni artista deve, sì, essere se stesso: ma che tutti, poi, debbono obbedire all'arte, e alla sua disciplina. La quale disciplina è data dal direttore, e dalle parti scritte dall'autore: ma l'autore in persona se ne resti fuori dal teatro, il suo compito egli l'ha esaurito a tavolino.»

E, col rilanciare la questione, il critico dava l'implicita conferma dell'ambiguità di fondo del messaggio affidato a Questa sera si recita a soggetto. Nel 1972, in occasione dell'allestimento della commedia al Teatro Stabile di Genova, per la regia di Luigi Squarzina, Alessandro D'Amico osserverà in proposito: «La verità è che Pirandello in questo dramma che chiude idealmente la sua trilogia del teatro nel teatro (ma già stava lavorando fin dal 1929, a I giganti della Montagna) parte dalla polemica in atto tra il regista e gli attori, ma per trascenderla, non per risolverla in favore di uno dei contendenti. Si tratta di ben altro rapporto: fra eterno e tempo, fra necessità e libertà. Quanto al rapporto tra testo e spettacolo, Pirandello aveva già detto tutto quel che aveva da dire a trent'anni, in un saggio di poche pagine, L'azione parla [ ] Sul dilemma pagina-scena, sul dissidio attori-regísta, sul rapporto attore-personaggio Pirandello non fa che citare se stesso. La novità, è altrove. t in ciò che Pirandello non aveva potuto affidare a nessun saggio e che solo sul palcoscenico sarebbe riuscito a mostrare: il momento in cui l'attore diventa lui, personaggio (Non, si badi, entra nel personaggio). In Questa sera si recita a soggetto assistiamo, viviamo continuamente questo momento.» Quanto appena citato ci riporta all'esperienza centrale vissuta da Pirandello negli anni immediatamente precedenti la stesura di Questa sera si recita a soggetto: la Compagnia del Teatro d'Arte (non a caso Giulio Bucciolini, nella cronaca dello spettacolo, rammentava Ciò che più imporat, del russo Evreinov, uno dei testi rappresentati dalla Compagnia di Pirandello). Quel momento Pirandello lo aveva osservato nei suoi attori, lo aveva ricercato e provocato per anni negli interpreti della sua Compagnia.

Marta Abba costituiva l'incarnazione più compiuta delle teorie di recitazione pirandelliane: la prima attrice della Compagnia del Teatro d'Arte per tre amici «aveva arrovellato i nervi e lo spirito nella sofferenza dei personaggi» - ricorderà Virgilio Marchi, scenografo di quella Compagnia - sino al «collasso» nervoso, che seguì la prima della Nuova colonia. Un «collasso» che richiama da vicino quello dell'attrice interprete di Mommina. Osservò, infatti, il critico dell'«Arte Drammatica» a proposito della scena conclusiva di Questa sera si recita a soggetto: «E' evidente che Pirandello scrivendo quella lunga e tanto difficile scena aveva la visione della giovane attrice che da qualche anno specialmente recita i suoi lavori, attrice notevole per le doti di grande resistenza, per la nervosità della recitazione, per la forza animatrice che è in lei: quella scena la può rendere soltanto Marta Abba.»

Questo suona come un invito a ricercare ancora una volta, in Questa sera si recita a soggetto, accanto alle possibili interpretazioni critiche, i segni di un'esperienza esistenziale, le tracce di quell'osmosi tra vita e arte, sempre presente nell'opera di Pirandello.

(AA.VV. Testo e messa in scena, La Nuova Italia Scientifica, Urbino, 1986)

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