Queste note riguardano un modo di vedere Pirandello del tutto nuovo, non seguendo gli abusati parametri coi quali si affronta il nostro autore - uno nessuno e centomila, la camera della tortura, Pirandello e il suo doppio, il pirandellismo dalla cui esagerata capziosità scaturisce una sorta di moralismo alla rovescia - no, niente di tutto ciò, sa di muffa, e se dovessimo ancora sentircene legati vorrebbe dire che il nostro autore sarebbe già' bello e morto: invece oggi egli e' chiarissimo, lucido e brillante e persino divertente, molto divertente.
Se c'e' un torto che e' stato fatto a Pirandello, e' la seriosita' con cui e' stato rappresentato, rivestito dalle intonazioni più lamentose, imbottito di intenzioni riparatrici del mal fatto, bagnato da un piangersi addosso insostenibile, cancellando spesso e volentieri tutto quanto c'e' di cinico, di beffardo, di antipatetico in ogni personaggio.
I suoi eroi sono quasi sempre negativi mentre i nostri attori cercano di salvarli con goffe interpretazioni di fronte alle quali, (citando Wilde) bisogna essere senza cuore per non scoppiare dal ridere.
Ancora una volta, io mi pongo davanti a un suo testo come davanti a una novità della quale non esiste storia, travolto da una sorprendente ragione di fare teatro e di quello che te ne da l'irresistibile voglia. Alla grande.
Scrivere una commedia che non si scrive, raccontare una storia che non si racconta, rappresentare delle scene che non si rappresentano, eppure trovarcisi dentro e nel bel mezzo ritrovarsi fuori, spiazzati, vedendosi crollare intorno tutto quanto s'era costruito...ebbene ancora oggi ci troviamo di fronte a un capolavoro che il tempo non e' riuscito (e non riuscirà) ad appannare, il più alto gioco al massacro col teatro che Pirandello abbia concepito.
Gli attori non sono più attori ma si sentono tutti personaggi del dramma che si sono impegnati a rappresentare, quindi a rivestire con proprie parole (che devono nascere dall'interno della costruzione del personaggio come già lo stanno interpretando - v. Stanislawskij) gesti e azioni che devono compiere sulla scena, eppure, nessuno e' d'accordo come l'altro stia conducendo il proprio personaggio, per cui ogni attore non fa che uscire ed entrare dal suo personaggio per confutare gli altri, sebbene abbiano dichiarato di non essere più degli attori ma soltanto i personaggi che ormai li posseggono.
Allora ti accorgi che forse la commedia e' questa: il vestirsi del proprio -l'abile e divertito racconto di svelare la macchina dell' interpretazione, giocando su due tavoli da gioco in contemporanea. (Che non si tratti di un torneo di scacchi giocato tra Diderot e Stanislawskij ?).
Invece, alla fine, resti abbacinato da una delle più tragiche scene di teatro che autore abbia potuto concepire, di straziante bellezza, l'autopsia del sentimento della gelosia scritta col bisturi, e non basta, la commedia si chiude con un inno al teatro (in questo caso, dovuto alle circostanze, esemplificato nella rappresentazione d'un melodramma verdiano in un teatro lirico), all'alto senso di purificazione che il Teatro regala attraverso la sua illusione rappresentativa alle tragiche storie dell'uomo che altrimenti resterebbero sotto terra. ("La vita , o la si vive o la si scrive" disse Pirandello).
La Sicilia! 1929. Siamo in piena repubblica di Weimar, al centro della rivoluzione culturale dell'epoca, da dove e' partito Gropius e sta nascendo Brecht e con lui Kurt Weill. Pirandello si trova in Germania e la' scrive la sua commedia. Egli ha avvertito tutto quanto gli sta intorno. La descrizione del cabaret e della sua cantante in questa sedicente città' di provincia, non ci fa intravedere una Lotte Lenya? Egli non sa strapparsi dalle radici isolane dentro di se', ma sente che il mondo della cultura e' la' e cerca di raggiungerlo. Anche la costruzione della commedia ne risente: potrebbe essere la esemplificazione di un cabaret tedesco dell'epoca fatta da un genio italiano!
La Sicilia e' stata da lui ormai assorbita, e' rimasta una qualità dell'anima che egli può trasmettere solo in qualche personaggio, se ha bisogno che il dramma oscuro e malcelato scoppi, e scoppi violento. E gli attori tra il pubblico, sia nella sala del teatro che nel suo ridotto, sono una bizzarria o una trovata? No, sono una necessita. Perché gli attori sono ormai personaggi vestiti e truccati come tali, e come tali, riconoscibili dal pubblico, e hanno bisogno di questo confronto per essere simili e diversi, per riaffermare una duplicità che e' l'essenza del teatro. Non e' la commedia il montaggio e lo smontaggio continuo della macchina teatrale dalla scena ai personaggi? Cosi in questo happening gli attori devono essere visibilmente truccati (ho messo l'azzurro anche sulle palpebre degli ufficiali dell'aviazione, gli occhi fortemente segnati dal lapis), perché al loro rivolgersi irritati agli spettatori: " Cos'hanno da guardare loro, non siamo simili a loro? ", gli spettatori restino turbati e privi di risposta (come restano), dato che e' una risposta difficile più di quello che sembri, che può risolversi solo in qualche battuta più o meno spiritosa (come avviene) ma solo alle spalle del personaggio quando si e' allontanato. Eppure ho visto i miei attori, tornare indietro e affrontare il malcapitato spettatore col linguaggio e l'espressione d'essere del personaggio che rappresentano.
Uno dei protagonisti dello spettacolo e' il sipario. Pirandello nelle sue didascalie, lo muove continuamente, lo fa alzare e calare a ogni scena, a ogni interruzione; lo usa come spartifuoco tra pubblico e palcoscenico. Allora Terlizzi ha abolito il sipario del teatro e al suo posto ha messo in opera due sipari ovoidali e concentrici che si muovono in senso opposto e delimitano sempre nuovi spazi, o accompagnano gli attori alla loro entrata di fronte al pubblico. Questi sipari di seta nera, a strascico, diventano essenziali quanto i personaggi; essi recitano a soggetto quanto gli attori. Sete nere gonfie e mutevoli come nuvole di un accigliato temporale sempre in agguato all'orizzonte, che confondono le scene, le fanno intravedere, le coprono e all'improvviso le svelano diverse, le spogliano e le rivestono per nascondersi alla fine, a rivelare il nulla da dove nasce l'illusione teatrale, un povero squallido palcoscenico nudo.
Giuseppe Patroni Griffi
Giro 1995-96 | Giro 1996-97 | Lo Monaco |
La Stampa | Bisicchia | Artioli |
D'Amico | Macchia | Tinterri |