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Questa Sera Si Recita A Soggetto

QUESTA SERA SI RECITA A SOGGETTO
di Luigi Pirandello

Interventi

IL NOME E IL NUME:

ALLA RICERCA DELLA SCRITTURA SECONDA di Umberto Artioli

L'opera è stata scritta in Germania. Non può quindi stupire se Pirandello, per la figura di metteur en scene che domina il dramma, sia ricorso a un nome tedesco. Da Reinhardt a Piscator, da Falkenberg a Jessner, il drammaturgo siciliano aveva agio di scelta nell'improntare il suo personaggio a moduli e idee mutuati dal teatro dell'epoca. Ma il regista pirandelliano si chiama anche Hinkfuss, il che aggiunge una connotazione ulteriore. Poiché fuss, in tedesco, significa piede, mentre hink deriva da hinken, zoppicare la parola può essere resa con l'italiano pie' zoppo. Alludendo alle friabili basi del regno registico, la simbolica zoppia di Hinkfuss rafforza i distinguo pirandelliani nei confronti della figura emergente.

Nella fabula, infatti, il preteso demiurgo finisce con l'esser cacciato dal palcoscenico; se alla fine vi fa ritorno, ciò avviene in maniera precaria e, comunque, non all'altezza delle ambizioni che l'avevano contraddistinto nel corso del dramma. Se la decodificazione si limitasse al motivo della zoppia, avremmo solo un'ulteriore conferma del nesso esistente tra morfologia del personaggio e partitura onomastica, senza penetrare la ricchezza di strati di cui il testo è latore. Proviamo invece a seguire, nell'incipit dell'azione, il modo in cui il regista pirandelliano giustifica il colpo di stato che l'ha messo al potere. In piedi sul palcoscenico, con alle spalle il sipario chiuso, il personaggio pronuncia il discorso della Corona.. Il punto spinoso, attorno a cui ruota il bisogno di consenso, è la destituzione del drammaturgo dal ruolo di guida: «State tranquilli. l' ho eliminato. Il suo nome non figura nemmeno sui manifesti, anche perché sarebbe ingiusto da parte mia farlo responsabile, sia pure per poco, dello spettacolo di questi sera. Unico responsabile sono io».

Se la rassicurazione del pubblico, con cui Hinkfuss dà garanzie del perfetto funzionamento della macchina scenica, è fondata sulle tesi di Craig, non meno craighiana è la richiesta di sovranità. Facendosi portavoce della teoresi europea ostile all'impianto verbale, Hinkfuss sa quel che dice: la concentrazione dei poteri in mano al regista è l'unico antidoto ai mali del teatro. Presenza superflua, il drammaturgo sciorina partiture contorte, che sono d'impaccio all'attore e incomprensibili al pubblico. Perciò un maestro di diavolerie, infaticabile nel decomporre i codici della rappresentazione, com'è Pirandello, va proscritto senza rimpianti:

«Sempre quello stesso, sì, incorreggibilmente! Però, se l'ha già fatta due volte a due miei colleghi, mandando all'uno, una prima volta, sei personaggi sperduti in cerca d'autore, che misero la rivoluzione sul palcoscenico e fecero perdere la testa a tutti; e presentando un'altra volta con inganno una commedia a chiave, per cui l'altro mio collega si vide mandare a monte lo spettacolo da tutto il pubblico sollevato; questa volta non c'è pericolo che lo faccia a me.»

Nel discorso dell'investitura, l'aspirante demiurgo nasconde la volontà di potenza dietro le parvenze del lecito e del conforme alle aspettative di tutti. Poiché il drammaturgo inquina il teatro, un'altra figura, più rispettosa del bene comune, deve prenderne il posto, reinsufflando armonia all'interno dell'Istituzione. Che le ragioni di Hinkfuss siano capziose, lo dimostra un particolare. Qualche istante prima, in coincidenza dell'inizio dello spettacolo, «voci confuse e concitate» provenienti dal palcoscenico, avevano causato fermento in sala. Prima avvisaglia della rivolta degli attori che, nel corso del dramma, porterà all'espulsione del tiranno, questa incrinatura nel dispositivo della mise en scène costituisce, per Hinkfuss, un motivo di disagio. Con calcolata noncuranza, sforzandosi di apparire all'altezza della situazione, il garante dell'ordine costituito cerca di tacitare gli spettatori in allarme: «Sono dolente del momentaneo disordine che il pubblico ha potuto avvertire dietro il sipario prima della rappresentazione, e ne chiedo scusa; benché forse, a volerlo prendere e considerare quale prologo involontario [ ] ».

Teniamo presente il «prologo involontario», su cui si avrà motivo di ritornare, e riassumiamo lo spartito di Hinkfuss, quale appare nel primo tempo dell'azione. Nell'atto di assumere i pubblici poteri, il personaggio si atteggia a salvatore della scena, assegnando all'autore l'ingrato ruolo del capro espiatorio. Nello stesso tempo, però, segnali inequivoci attestano che, nello spazio dell'Istituzione, la pace è solo apparente, e nuovi disordini, di oscura matrice, ma provenienti dal palcoscenico, minacciano di contagiare la sala. Hinkfuss che, nel discorso della Corona, arroga a se stesso ogni responsabilità, è contemporaneamente il garante dell'Ordine e la causa di Disordine, la salvaguardia dell'Istituzione e colui che può condurla in rovina.

A questo punto si può far scattare l'altra - e più fonda - connotazione, di cui è veicolo la partitura onomastico: Hinkfuss, che in tedesco vuol dire pie' zoppo, ha lo stesso nome di Edipo. Infatti, in greco,pous vuol dire piede e oidos gonfio: un'allusione all'infermità del personaggio che, appena nato, venne esposto alle intemperie, coi piedi avvinti da pesanti catene, affinché non s'avverasse l'oracolo che lo voleva uccisore del padre e colpevole di incesto con la madre. Alla luce del testo sofocleo, viene a galla l'ordito di stratificazioni su cui Pirandello ha costruito il suo dramma. Quel che Hinkfuss, nella sua hybris, ignora è che l'eliminazione del drammaturgo, coincidendo con un parroco, è un gesto sacrilego che sarà espiato. Grazie a un crimine, egli crede di aver liberato il teatro dalle sue impurità e si atteggia a salvatore della polis. In realtà, come vuole la didascalia che gli assegna sembianti mostruosi, il suo gesto contronatura è letale all'istituzione: «In frak, con un rotoletto di carta sotto il braccio, il dottor Hinkfuss ha la terribilissìma e ingiustissima condanna di essere un omarino alto poco più d'un braccio. Ma si vendica portando un testone di capelli così [ ]. Le manine [.'.] forse incutono ribrezzo anche a lui, da quanto sono gracili e con certi ditini pallidi e pelosi come bruchi».

Delle due polarità d'Edipo - la figura regale e l'infante maledetto - Pirandello utilizza la prima per la pratica discorsiva del personaggio, ma precipita la seconda sulla partitura corporea: piccolo come un bambino, Hinkfuss ricorda nei tratti zoomorfi il mitico interlocutore di Edipo, la Sfinge. li «prologo involontario», di cui il regista si scusa nell'incipit dell'azione, non è soltanto l'estemporanea trovata d'un interlocutore a corto d'argomenti: è il classico modo pirandelliano per alludere, in maniera cifrata, al testo archetipico. Infatti le tracce dell'Edipo re sofocleo sono evidenti in Questa sera a livello del prologo. Nell'incipit del più celebre dei drammi greci, una «folla assai numerosa» è raccolta davanti alla skenè. Nella massa delle presenze corali si distinguono «alcuni sacerdoti», tra cui uno più «anziano» che, dopo aver espresso le sue lamentazioni, esce di scena. A causa del morbo che infetta la polis, «voci e invocazioni » gremiscono lo spazio scenico. Per rispondere a queste «voci», Edipo in persona esce dalla reggia, passando per la «porta centrale»: «lo voglio sapere da me, non voglio messaggeri o figli, e perciò sono venuto io stesso, io, Edipo: a tutti è noto il mio nome [ ]. Cosa temete, cosa volete? lo sono pronto a soccorrervi in tutto».

Il dramma pirandelliano comincia sul teatro affollato, tra gli spettatori spiccano i sacerdoti dell'arte, nella fattispecie «i signori critici drammatici dei giornali di città», a disagio nell'inquadrare uno spettacolo di cui si ignora l'autore. U assemblea degli spettatori, che si prepara ad assistere alla rappresentazione, appare in fermento quando, provenienti dal palcoscenico, «voci confuse e eccitate» danno l'impressione di una minaccia. In poco tempo l'intero teatro è un risuonare di lamentazioni. Tra i più eccitati figura «uno spettatore anziano» che, dopo aver espresso il suo sdegno, abbandona il teatro. Per tacitare il tumulto, Hinkfuss è costretto a lasciare il luogo della sovranità. Con il suo ingresso in sala, che avviene dalla porta centrale, comincia il dialogo con gli spettatori, poi trasformato nel monologo della Corona.

Nel «prologo involontario» non solo Pirandello riecheggia il prologo sofocleo, ma annoda le tessere dell'azione in modo che i suoi sviluppi declinino una metaforesi attinta all'Edipo. Il correlativo di Tebe, dove una misteriosa pestilenza semina il panico, è, in Questa sera, l'intero teatro; l'origine dell'infezione, in Sofocle la reggia d'Edipo, è il palcoscenico, di cui Hinkfuss è il sovrano; comune ai protagonisti è il misconoscimento della figura patema, oggetto d'un crimine inconsapevole; l'iter del regista pirandelliano, che da salvatore della polis diventa l'escluso, ricalca il percorso della figura gemella; alla battuta di Tiresia «tu sei l'empio che contamina la nostra terra» fa riscontro quella del primo Attore: «la colpa è di lui [ ] col suo maledetto teatro che Dio lo sprofondi»; la riammissione finale di Hinkfuss sul palcoscenico è la replica dell'esodo sofocleo, dove Edipo è invitato da Creonte a rientrare in casa.

Va segnalato, altresì, un parallelismo formale: l'Edipo dispone, oltre che di un prologo e di un esodo, di tre episodi e di un intermezzo corale; analoga struttura ha Questa sera, che non ha l'esodo, ma propone un «prologo involontario», seguito da tre episodi, il secondo e il terzo interpuntati da un «intermezzo». Va da sé che Pirandello, profilando dietro la figura di Hinkfuss il mito d'Edipo, non fa che proiettare sul tema una sua convinzione di sempre: il padre del teatro, l'unico ad avere contatto con l'imago originaria, è il drammaturgo. Se il regista misconosce questa paternità e, smanioso d'affermare il suo io, inonda la scena di risibili icone, l'arte teatrale, a partire dal suo prezioso supporto - l'attore -, conosce un inesorabile declino.

(Umberto Artioli, L'officina segreta di Pirandello, 1989, Bari, Laterza)

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